Solo la pace basata sulla solidarietà internazionale…

Solo la pace basata sulla solidarietà internazionale della classe operaia e sulla libertà di tutti i popoli può essere una pace duratura

Riprendiamo in epigrafe una frase dell’internazionalista tedesco Karl Liebknecht, tratta dalla sua dichiarazione contro la prima guerra mondiale imperialista che riportiamo alla fine di questo nostro editoriale, non solo per ricordare la sua uccisione avvenuta il 15 gennaio del 1919 assieme a quella di Rosa Luxemburg e di altri internazionalisti, ma anche per riprendere, aggiornare e riproporre le sue indicazioni.
Come già andiamo ripetendo da tempo, la fase che stiamo vivendo è densa di drammatici avvenimenti che si susseguono a ritmi rapidissimi proiettandoci in scenari inediti e allarmanti che mettono a dura prova sia il protagonismo sociale e la sua organizzazione, sia le capacità di analisi e di previsione. In simile contesto risulta quindi difficile definire la reale possibilità di costruire un futuro migliore di quello che il capitalismo sta invece prospettando al fine di perpetrare il proprio dominio sul mondo, in un crescendo di disuguaglianza, sfruttamento, miseria, distruzione e morte che rappresenta il prezzo che l’ambiente e l’intera umanità si trovano a pagare per garantire al capitale margini di profitto sempre maggiori.
Il conflitto tra le principali potenze imperialiste per il controllo del mercato mondiale si acuisce: dilagano le guerre per procura che schierano popolazioni contro popolazioni che si fronteggiano sanguinosamente per la difesa di interessi non propri, come accade nella guerra in Ucraina scatenata dall’aggressione russa e giunta ormai al terzo anno; come accade in Palestina dove l’esercito israeliano continua a perseguire un’impunita pratica genocida ai danni della popolazione civile palestinese; come accade negli oltre 50 conflitti che destabilizzano e insanguinano intere aree del pianeta.


La NATO, storicamente schierata a difesa degli interessi statunitensi, è scossa da numerose contraddizioni che riguardano principalmente l’Unione Europea, la quale, pur sostenendo gli ingenti costi economici e politici dell’alleanza, è messa da parte dal subentrante presidente USA D. Trump, che reclama senza mezzi termini che i paesi membri dell’Unione Europea dovranno dedicarvi il 5% del proprio PIL e rivendica il possesso della Groenlandia oltre al controllo del Golfo del Messico.
Sarebbe un grave errore sottovalutare queste esternazioni, proprio perché esse rappresentano la precisa volontà strategica di affermare che gli USA sono ancora la principale potenza mondiale, arrestando così il suo storico declino.
Oggi il legame tra capitale finanziario, imperialismo, militarismo e guerra appare nella sua massima estensione: l’industria militare accumula profitti enormi e gli Stati sono impegnati in una frenetica corsa agli armamenti.
Crescono le necessità strategiche di estensioni territoriali avallate anche dal poderoso sviluppo tecnologico che è andato concentrandosi (come il capitale, d’altronde) in poche mani private, e con esse le possibilità di nuovi e sempre più drammatici conflitti, che dalle attuali guerre per procura rischiano di degenerare fino ad opporre le principali potenze imperialistiche in uno scontro diretto capace di scatenare il terzo conflitto mondiale.


Tutta questa situazione ha un’indiscutibile proiezione sulle capacità di tenuta della democrazia borghese, che non riesce a scongiurare la propria crisi di valori, oltre che l’incapacità di opporsi alla reazione emergente che, storicamente, nasce dal suo ventre molle. In ultimo in Austria, che vede salire al governo un partito di estrema destra, e in Germania, dove le elezioni di febbraio prossimo rischiano di incoronare, al secondo posto dopo la CDU, l’AfD, un partito reazionario e nazionalista. Sono queste le ultime novità dell’avanzata dell’estrema destra in Europa e nel mondo.
Lo scenario che abbiamo schematicamente e crediamo obiettivamente descritto, non è frutto del caso, della semplice contingenza storica o di qualche altro accidente: esso è cresciuto nel tempo, nel corso di innumerevoli regie e responsabilità politiche e istituzionali che hanno fiaccato la capacità di resistenza della nostra classe e della sua organizzazione, rivolgendo così la gestione della crisi contro il proletariato di tutto il mondo: “…mica per niente abbiamo perso!”. E’ quest’ultima una dichiarazione che certamente esprime pessimismo ma solo in apparenza, in quanto la capacità di riprendere il percorso per la costruzione di un mondo migliore individuando nuove speranze, passa attraverso il riconoscimento della sconfitta, per quanto amara possa essere.
Ma abbiamo un compito in più: iniziare a riflettere sulla sconfitta e sulle sue cause, e dobbiamo farlo con profondo intento autocritico, vale a dire affrontando anche le nostre responsabilità in quanto rivoluzionarie e rivoluzionari.
La storia e soprattutto quella della nostra classe, la storia delle nostre vittorie e delle nostre sconfitte, potrà esserci di aiuto purché si abbia la capacità di rapportarla all’oggi rifuggendo le purtroppo diffuse nostalgie di esperienze passate che vengono acriticamente riproposte. Un solo esempio tra tutti: l’incapacità di riconoscere lo stato reale della competizione imperialista mondiale e le forze che la compongono comporta scambiare l’imperialismo più aggressivo come l’unico. Così è che l’opposizione all’imperialismo vede lo schierarsi con le componenti più deboli in quanto ogni nemico degli USA diviene un potenziale alleato per la lotta anticapitalistica, nonostante che ciò comporti la liquidazione di ogni prospettiva internazionalista.


Ecco che allora la citazione che segue, sia pure vecchia di oltre 100 anni, presenta ancora oggi la sua grande attualità. Si cambino pure i riferimenti nominali e temporali superati dalla storia ma resterà immutato l’insegnamento internazionalista che si adatta perfettamente alla drammatica situazione attuale.
Il 2 dicembre 1914 Karl Liebknecht, facente parte della componente parlamentare del Partito Socialdemocratico Tedesco (SPD), di cui rappresentava la tendenza di sinistra, fu l’unico deputato del Reichstag tedesco a votare contro la prima guerra mondiale imperialista.
I contenuti di questa dichiarazione verranno trascurati in quanto minoritari e egli verrà esposto al disprezzo dei suoi medesimi compagni di partito che invece votarono compatti per la guerra, sostenendo così l’imperialismo del proprio paese e contribuendo a schierare il proletariato tedesco contro quello di altri paesi.
Ma è doveroso ricordare che Karl Liebknecht il 15 gennaio del 1919 fu sequestrato e ucciso, assieme a Rosa Luxemburg e a altri rivoluzionari, dalla soldataglia dei Freikorps assoldata dal governo del socialdemocratico Hebert e dal suo ministro dell’Interno Noske, per reprimere la rivolta del proletariato di Berlino.
Dichiarazione di Karl Liebknecht al Reichstag tedesco il 2 dicembre 1914 contro i “crediti di guerra”:

Motivo il mio voto al progetto che ci è oggi sottoposto nel modo seguente. … Questa guerra, che nessuna delle popolazioni coinvolte ha voluto, non è scoppiata per il bene del popolo tedesco o di altri popoli. Questa è una guerra imperialista, una guerra per la dominazione capitalista del mercato mondiale e per il dominio politico dei paesi importanti per portarvi il capitale industriale e bancario.
Dal punto di vista del rilancio degli armamenti, è una guerra preventiva causata congiuntamente dai partiti della guerra tedeschi e austriaci nella oscurità del semi-assolutismo e della diplomazia segreta. È anche un’impresa di carattere bonapartista tendente a demoralizzare, a distruggere il movimento operaio in crescita. È quello che hanno dimostrato, con chiarezza sempre maggiore, nonostante una cinica messa in scena destinata ad indurre in errore le coscienze, gli eventi degli ultimi mesi. La parola d’ordine tedesca: ‘contro lo zarismo’, proprio come la parola d’ordine inglese e francese: ‘contro il militarismo’, è servita come mezzo per attivare gli istinti più nobili, le tradizioni e le speranze rivoluzionarie del popolo a vantaggio dell’odio contro i popoli. Complice dello zarismo, la Germania, fino a ora modello della reazione politica, non ha nessuna qualità per svolgere il ruolo di liberatrice dei popoli. La liberazione del popolo russo, come del popolo tedesco, deve essere l’opera di questi popoli stessi.
Questa guerra non è una guerra difensiva per la Germania. Il suo carattere storico e la sequenza degli avvenimenti ci vietano di fidarci di un governo capitalista, quando dichiara di chiedere i crediti per la difesa della patria. Una pace rapida e che non umili nessuno, una pace senza conquiste, questo è quello che bisogna esigere. Ogni sforzo diretto in questo senso deve essere ben accolto. Solo l’affermazione continua e simultanea di questa volontà in tutti i paesi belligeranti potrà fermare il sanguinoso massacro prima del completo esaurimento di tutte le popolazioni interessate.
Solo la pace basata sulla solidarietà internazionale della classe operaia e sulla libertà di tutti i popoli può essere una pace duratura. E’ in questo senso che il proletariato di tutti i paesi deve compiere, anche durante la guerra, uno sforzo socialista per la pace. Acconsento ai crediti fin tanto che siano richiesti per opere capaci di superare la miseria esistente, anche se li trovo del tutto inadeguati. Sono anche d’accordo con tutto ciò che è fatto in favore della sorte dei nostri fratelli sui campi di battaglia, in favore dei feriti e dei malati per i quali io sento la più ardente compassione. Anche in questo caso, niente che venga chiesto sarà troppo ai miei occhi.
Ma la mia protesta va contro la guerra, contro quelli che ne sono responsabili, quelli che la dirigono; va alla politica capitalistica che l’ha generata; la mia protesta è diretta contro i fini capitalisti che la guerra persegue, contro i piani di annessione, contro la violazione della neutralità del Belgio e del Lussemburgo, contro la dittatura militare, contro l’oblio completo dei doveri sociali e politici di cui si rendono colpevoli, anche oggi, il governo e le classi dominanti. Ed è per questo che respingo la richiesta dei crediti militari.

 

Contro le guerre imperialiste e contro gli stati che le sostengono, oggi come ieri viva l’unità internazionalista del proletariato mondiale!

 

Alternativa Libertaria/FdCA