Per una sola Umanità

Questo numero 33 de “il CANTIERE” contiene contributi che rimandano alle donne e all’8 marzo, che non è “la festa internazionale della donna” ma una giornata di riflessione e di lotta per ribadire che in questa fase di violenta offensiva del capitale contro le classi subalterne, una fase di guerre, distruzione dell’ambiente, aggressione alle condizioni materiali di vita, profonde disuguaglianze economiche sociali e culturali degli strati sociali più deboli, sono proprio le donne a subire l’attacco più pesante.
Ciò avviene con devastante sincronia in tutti i paesi, anche laddove le donne sono state protagoniste di dure lotte per la difesa dei loro diritti rivendicando, e talvolta anche ottenendo, grandi conquiste in termini di lavoro e salario, quale premessa di una autonomia non solo economica, concretatasi con le vittorie in materia di divorzio e di diritto all’aborto, di salute pubblica e diritto allo studio.
Tutte conquiste, queste, che hanno rafforzato il movimento femminista, capace di contrastare il modello patriarcale, ponendo la donna al centro del movimento reale di emancipazione, materiale e culturale, per una società più giusta che abolisca lo sfruttamento dell’ambiente e degli esseri viventi. Un ruolo questo che viene progressivamente insidiato, dato che oggi l’emancipazione femminile costituisce uno degli obiettivi cui è diretta l’offensiva capitalista che ha contemporaneamente travolto l’intera opposizione di classe e dei movimenti sociali di resistenza.
Quella che stiamo vivendo è infatti la fase più allarmante dal secondo conflitto mondiale, densa com’è di scenari inediti che la rendono estremamente complessa e dolorosa, ma è necessario rifuggire la nostalgia acquisendo una rinnovata capacità di analisi.
L’ascesa del capitale finanziario e gli ampi processi di delocalizzazione industriale che hanno reso gli USA sempre più dipendenti dalle importazioni, sono fenomeni che meritano un poco di attenzione al fine di schematizzare alcune linee emergenti, senza la pretesa di essere in questo contesto esaustivi.
Gli USA hanno posto in essere dazi sulle importazioni al fine di controbilanciare il proprio deficit commerciale maturato nei confronti del resto del mondo ed i primi paesi interessati a questi provvedimenti sono stati Messico, Canada, Cina e Unione Europea, che costituiscono i principali partners commerciali degli Stati Uniti.
Tale scelta era stata già intrapresa a partire dal 2016 da Obama, replicata dal primo mandato di Trump e successivamente da Biden, per subire oggi un’ulteriore accelerazione anche se questa linea, che potremo definire protezionistica, non pare che abbia contenuto il deficit commerciale che gli USA scontano nei confronti del resto del mondo, dato che in otto anni questo è passato da 460 agli oltre 900 miliardi di dollari attuali.
In un simile contesto ha giocato un ruolo fondamentale la già accennata delocalizzazione industriale che le imprese statunitensi hanno intrapreso al fine di sfruttare i vantaggi fiscali offerti da numerosi paesi, anche dell’Unione Europea. L’Irlanda ha, per esempio, accolto buona parte dell’industria farmaceutica degli USA che proprio per questa delocalizzazione hanno scontato con Dublino un saldo negativo di oltre 86 miliardi di dollari nel solo 2024.
Quindi uno degli obiettivi primari di questo secondo mandato di Trump è di avviare un processo di reindustrializzazione richiamando in patria le aziende delocalizzate e contenere l’inflazione al fine di contrastare il declino dell’economia USA, rinvigorendo così l’imperialismo di questo paese accerchiato da nuove e insidiose potenze che, come la Cina, muovono verso il controllo del mercato mondiale.
La linea aggressiva che Trump ostenta nasce da una serie intrecciata di necessità: ostacolare le relazioni tra UE, Russia e Cina così come andavano lentamente consolidandosi prima della guerra in Ucraina, scaricando sui paesi europei i costi economici, sociali e politici della guerra medesima e di un eventuale successivo riarmo.
In questo contesto gli USA non intendono farsi carico delle spese NATO, vale a dire che se la Russia dovesse aggredire l’Europa questa dovrà contare solo sulle sue risorse.
Da questa scelta ne consegue che ogni paese dovrà aumentare le spese militari fino al 5% del proprio PIL: questo esigono oggi gli USA, dato che per difendere l’Europa non cacceranno più un dollaro.
D’altronde l’esclusione dell’UE dalle trattative sulla pace in Ucraina si basa proprio sulla sua evidente divisione interna, limite questo che offre a Trump la possibilità di trattare a proprio piacimento con i rispettivi paesi, dividendoli ulteriormente anche su questioni cruciali come l’immigrazione e realizzando incursioni inedite sui suoi assetti politici e istituzionali, come fatto con le dichiarazioni di Elon Musk e del vicepresidente Vance.
Ciò apre ad altre considerazioni, sia pure schematiche. Gli USA detengono un debito pubblico pari a 36.000 miliardi di dollari, vale a dire il 120% del PIL, a fronte dell’80% detenuto dall’UE, che pur salendo al 90% per l’area Euro si presenta comunque notevolmente più basso di quello americano.
Questi 36.000 miliardi di debito sono costituiti da 28.000 miliardi di titoli e di treasuries, vale a dire l’insieme di titoli di stato che il governo degli Stati Uniti emette al fine di rifinanziare il proprio debito pubblico che, in generale, sono considerati molto sicuri; nel 2025 andranno a scadenza circa 5.000 miliardi, da rifinanziare, con un impatto enorme sul PIL mondiale che ammonta a oltre 105.000 miliardi di dollari.
Gli USA, per finanziare il proprio debito, devono quindi convincere gli investitori, e da qui l’aggressività dell’amministrazione Trump che sta ridimensionando il proprio ruolo di “gendarme del mondo” per dirigere le risorse non più in Europa ma nell’area del Pacifico, al fine di contrastare efficacemente l’imperialismo cinese.
L’Unione Europea risulta quindi assai indebolita con una forza militare che, privata dell’aiuto americano, dovrà essere rifinanziata con tagli verticali al welfare che andranno a incidere sulle condizioni di vita dei ceti medio-bassi.
D’altronde la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, non fa alcun mistero di quelle che sono le priorità di questa Europa, proponendo di esentare le spese militari dai vincoli del Patto di Stabilità.
L’imperialismo europeo, se vuole sopravvivere, dovrà sedimentare quell’unità che finora ha disatteso, e dovrà farlo di fretta, in una situazione più difficile che in passato per l’evoluzione della crisi economica, con una guerra sanguinosa ai propri confini, con un’estrema destra in netta ascesa e con dei livelli di unità interna non all’altezza delle necessità, come il recente vertice di Parigi tra le cancellerie europee ha dimostrato, non avendo neppure espresso un documento unitario per l’emergere delle divergenze sulla qualità e quantità dell’aiuto a Kiev.
Come abbiamo più volte dichiarato – ma non solo noi ovviamente – la fase si apre a scenari inediti e allarmanti anche in considerazione della rilevante partita che si gioca attorno all’Intelligenza Artificiale, meglio nota come AI, che costituisce un ulteriore motivo di scontro tra USA e Cina, con l’Europa che ostenta anche da questo punto di vista una linea debole e incerta.
Ed è in questo complicato contesto che l’Italia, secondo i dati ISTAT, ha registrato nel 2024 si è registrata una diminuzione della produzione industriale del 3,5%, con un andamento negativo per tutti i mesi dell’anno; anzi, a dicembre la riduzione è stata del 7,1% rispetto allo stesso mese del 2023.
Per il 2025, Nomisma, accreditata società di ricerche economiche, prevede un aumento medio delle bollette delle famiglie del 10% rispetto all’anno precedente, con un’evidente ricaduta sui ceti sociali medio-bassi.
Questa tendenza economica colloca l’Italia in una posizione ancora più debole rispetto ad altri paesi europei.
In Italia e nel mondo non si registrano quei necessari processi di unità sociale delle classi subalterne per contrastare queste dinamiche, mentre le guerre continuano in Ucraina, Palestina, Siria, Libano e in molti altri paesi.
Piccole e grandi potenze si scontrano ovunque per il controllo dei mercati, anche periferici, causando morte, distruzione e ondate di migrazione che portano sulle nostre coste decine di migliaia di esseri umani disperati.
Questi migranti fuggono dagli orrori delle guerre e da condizioni di vita invivibili in cerca di una vita migliore, ma vengono respinti senza alcuna pietà dalle stesse potenze imperialiste che hanno causato e continuano a causare impunemente questi sanguinosi conflitti.
Il capitalismo è ormai entrato in una fase distruttiva, poiché la sua necessità di estrarre profitti e accumularli non può più essere sostenuta in altro modo.
Solo l’unità internazionale del proletariato potrà contrastare la barbarie, superando il capitalismo per affermare gli interessi universali dell’umanità e dell’ambiente che la circonda.
Ma se questa è la prospettiva di cui siamo consapevoli, la nostra azione va oltre l’enunciato, con l’obiettivo di dare il nostro contributo per una società comunista anarchica.
Per procedere in questa direzione è essenziale preparare militanti capaci di offrire un apporto concreto di unità e organizzazione nelle reali dinamiche dello scontro sociale.
Alternativa Libertaria/FdCA