Figli dell’officina o figli della terra, già l’ora s’avvicina della più giusta guerra.
La guerra proletaria, guerra senza frontiere, innalzeremo al vento bandiere rosse e nere.(Inno legato agli Arditi del popolo. G. Raffaelli e G. Del Freo, 1921)
Vieni o maggio t’aspettan le genti, ti salutano i liberi cuori, dolce Pasqua dei lavoratori, vieni e splendi alla gloria del sol
(Inno del Primo Maggio. Pietro Gori, 1910)
Il 25 aprile ed il 1° Maggio non sono soltanto due festività segnate sul calendario, ma sono due fondamentali ricorrenze che un composito schieramento politico e sociale ha sempre cercato di rimuovere dalla memoria collettiva della nostra classe, oppure, nel migliore dei casi, di “imbalsamare” in una vuota retorica. La resistenza al fascismo, che iniziò con gli Arditi del popolo già prima della conquista del potere da parte di Mussolini, con la partecipazione alla rivoluzione ed alla guerra civile in Spagna, che passò attraverso i grandi scioperi nelle fabbriche del marzo 1943 e quelli del marzo 1944, alla lotta partigiana nelle città ed in montagna dove migliaia e migliaia di uomini e donne lottarono e pagarono anche con la vita per un mondo migliore, deve essere sempre ricordata non per guardare nostalgicamente al passato, ma perché è essenziale conservare e tramandare la memoria, e non solo in questo 80° anniversario del 25 aprile. Perché è importante conoscere da dove si viene, per sapere chi siamo e dove andiamo.
Ma rievocare la Resistenza di allora non può risolversi in una celebrazione istituzionale, completamente scissa dalle resistenze attuali, e per questo vogliamo ricordare anche quella dei popoli palestinese e curdo; quella contro le basi militari e il dilagare del militarismo nella società; quella contro la produzione ed il commercio delle armi, quella contro tutte le guerre dell’imperialismo. Vogliamo ricordare la resistenza dei giovani che protestano contro l’inquinamento e contro la precarietà lavorativa; delle donne in lotta per la difesa dei loro diritti in una società maschilista e patriarcale; dei lavoratori e delle lavoratrici che lottano contro i licenziamenti, per un salario dignitoso, per la sicurezza nei luoghi di lavoro e per una migliore qualità della vita; delle persone migranti che fuggono dalle guerre e dalla miseria in cerca di un futuro migliore; quella di tutti gli individui che si battono contro il risorgente fascismo, contro ogni frontiera (perché “nostra patria è il mondo intero”), per una natura ed una umanità liberata dallo sfruttamento capitalistico in tutte le sue forme; contro il razzismo, la repressione; contro ogni oppressione politica e statale. In ogni circostanza, viva la resistenza al capitalismo!
Così anche il Primo Maggio non può essere relegato ad una vuota ricorrenza, una generica “festa del lavoro”, ma è necessario ricordare le sue origini autenticamente operaie e internazionaliste, per recuperare e riproporre quei contenuti di unità, di speranza e di emancipazione che hanno caratterizzato la storia del proletariato mondiale. Non possiamo scordare che le origini e la storia del Primo Maggio sono legate alla lotta per la conquista delle otto ore di lavoro giornaliere, una lotta iniziata a partire dal 1866 nei paesi più industrializzati d’Europa e negli Stati Uniti d’America. E venti anni dopo, nel 1886, proprio a Chicago, durante le giornate di lotta iniziate il 1° Maggio per la riduzione della giornata lavorativa, la polizia sparò sui lavoratori davanti ad una fabbrica causando morti e feriti. Successivamente fu messa in atto una provocazione, durante una manifestazione di protesta contro l’eccidio, con gravi incidenti causati dalla polizia e l’esplosione di una bomba; fatti questi che, grazie alle dichiarazioni di falsi testimoni, portarono alla condanna a morte di cinque dirigenti sindacali e la condanna di altri tre a molti anni di galera. Questi sindacalisti, tutti anarchici, tutti lavoratori immigrati (eccetto Albert Parsons che era nato in Usa), completamente innocenti rispetto alle accuse precostituite mosse nei loro confronti, furono impiccati l’11 novembre del 1887 nonostante le vaste proteste nel paese: così vennero assassinati August Spies, Adolph Fischer, George Engel, Albert Parsons, mentre Louis Lingg si suicidò in carcere prima dell’esecuzione; Samuel Fielden, Oscar Neebe e Michael Schwab ebbero la condanna commutata in molti anni di prigionia [1].
Ma le lotte per la riduzione dell’orario di lavoro, dopo un iniziale sbandamento seguito ai fatti di Chicago ed alla conseguente repressione, ripresero con maggior forza, e in uno storico congresso svoltosi a Parigi nel 1889 fu decisa una giornata di protesta internazionale per il 1° Maggio dell’anno successivo in ricordo dei “Martiri di Chicago” e per rivendicare le otto ore di lavoro.
Successivamente, grazie alle sempre più vaste mobilitazioni della classe operaia, nei primi anni del ‘900 ci furono significative riduzioni dell’orario di lavoro in diversi paesi, mentre la conquista delle otto ore divenne generalizzata nell’industria europea tra il 1917 ed il 1919 anche per la spinta data al proletariato dalla rivoluzione russa. In Italia le prime lavoratrici che riuscirono a conquistare le otto ore furono le mondine di Vercelli nel 1906, mentre nel febbraio 1919 la Fiom formalizzò con la Confederazione degli industriali l’accordo per la riduzione dell’orario di lavoro ad otto ore giornaliere e 48 settimanali. Successivamente il regio decreto del marzo 1923 estenderà l’orario di lavoro dei metallurgici della Fiom a tutte le categorie, mentre nel secondo dopoguerra la riduzione dell’orario sarà lasciata alla contrattazione collettiva che vide affermarsi le 44 ore settimanali nei rinnovi contrattuali del 1962/63 e le 40 ore settimanali nel ciclo di lotte del 1969/73 (tale orario fu poi stabilito anche con la legge 196 del 1997). Ma il padronato, dopo le lotte e le conquiste operaie del dopoguerra, alla fine degli anni ’70 iniziò una offensiva nei confronti del lavoro salariato con l’obiettivo di aumentare i profitti, riducendo sempre più l’occupazione ed aumentando di fatto i tempi di lavoro fino a 47/48 ore settimanali con il ricorso allo straordinario; tutto ciò favorito dalla perdita del potere di acquisto dei salari a causa del ricatto occupazionale, dalle ristrutturazioni produttive e dal conseguente declino delle lotte. Ed oggi, con il ricatto della delocalizzazione della produzione, con l’attacco allo Statuto dei lavoratori ed ai contratti nazionali, sta aumentando l’orario di lavoro con nuove forme di sfruttamento nelle fabbriche, nei servizi, nelle campagne; un esempio emblematico, tra i tanti, è stato quello di alcune piccole aziende di Prato dove i lavoratori immigrati, organizzati nel sindacato Sudd Cobas, hanno dovuto portare avanti dure lotte, subendo anche assalti squadristici, per poter fare applicare ciò che era già disposto nei CCNL e nelle leggi sull’orario di lavoro.
In questa situazione il dibattito in Italia sulla riduzione dell’orario ha seguito un percorso “carsico”, apparendo periodicamente nei dibattiti politici per poi uscire di scena, salvo poi ripresentarsi successivamente; in campo sindacale è stato spesso richiamato sia nelle piattaforme contrattuali che nei congressi, ma senza mai essere stato al centro di una effettiva e generalizzata mobilitazione. Inoltre tale obbiettivo viene visto dalla Cgil, dalla Cisl, dalla Uil, pur con i dovuti distinguo, nell’ottica di una flessibilità nella modulazione degli orari, nell’utilizzo dei turni di lavoro, peggio ancora nello sviluppo del part-time, anziché con una riduzione “secca” dell’orario a parità di paga. Ma con l’introduzione sempre più spinta di nuove tecnologie, con l’affacciarsi dirompente di quella che va sotto il nome di intelligenza artificiale, risulta sempre più urgente e necessario riprendere la battaglia per una generalizzata riduzione dell’orario di lavoro, con vertenze che vadano oltre i confini nazionali, per un salario medio atto a contrastare il dumping sociale almeno all’interno del vecchio continente. È necessario lottare con determinazione per raggiungere l’obbiettivo di una drastica riduzione dell’orario di lavoro e per forti aumenti salariali.
Per questo il Primo Maggio evidenzia ancora la sua grande attualità, per poter raggiungere fondamentali obbiettivi immediati e proseguire verso la liberazione di tutte le classi sfruttate ed oppresse. Ed allora, ieri come oggi, come domani:
Viva il Primo Maggio Internazionalista!
Alternativa Libertaria/FdCA
Note
[1] Sei anni dopo l’esecuzione delle condanne il nuovo Governatore dello Stato dell’Illinois, John Peter Altgeld, dopo avere esaminato le carte processuali, annullerà le sentenze, grazierà i tre sopravvissuti e bollerà con forza l’infame sentenza che aveva portato alla morte dei cinque anarchici.