“Dobbiamo essere all’altezza di quella grande intuizione maturata su una piccola isola da alcuni giovani antifascisti mandati al confino, che seppero scrivere a Ventotene un manifesto visionario e ancora attuale… In una parola, l’Europa federale. In grado di avere una voce univoca ed esercitare quel ruolo politico e diplomatico fin qui mancato nella promozione della pace e del multilateralismo, un’Europa democratica che difenda e promuova i diritti e le libertà… un’Europa diversa, unita e libera, più giusta e vicina alle persone. Un’Europa federale. Noi ci saremo”
Segretaria del Partito Democratico, in risposta all’appello lanciato da Michele Serra
Visioni e presenze a parte, non è utile continuare a disquisire sulla proposta lanciata da Michele Serra per la manifestazione del 15 marzo per “una piazza per l’Europa” in quanto, semplicemente, “la storia produce coloro che la interpretano”, e siccome la storia non è quella delle idee ma quella più concreta dei rapporti di forza tra le classi, è chiaro da quale parte dell’Europa stia la pasticciata proposta del Serra, peraltro già rettificata in occasione dell’annunciato riarmo europeo.
Più utile alla chiarezza è invece avviare una riflessione sulla credibilità delle argomentazioni del Michele più noto d’Italia che pare, ahimè, alquanto diffusa proprio perché interloquisce con un pubblico piuttosto vasto in base alla verosimile considerazione: “piatto ricco, mi ci ficco”.
E non ci riferiamo tanto alle divisioni e alle variopinte adesioni a questa iniziativa di partiti, associazioni, sindaci e sindacati questi ultimi più o meno entusiastici o silenti, quanto alla presa sull’opinione pubblica nella sua più ampia accezione. Intendiamoci: l’opinione pubblica è un concetto astratto, buono per tutte le occasioni ma, per sostenere un’altra Europa diversa dalle sue origini e dal suo ulteriore sviluppo per divenire alla fine l’Europa del riarmo e della guerra, è necessaria proprio un’opinione pubblica all’uopo costruita al fine di sostenere quella che altro non è se non una potenza imperialista in lotta con altre ben più potenti per il controllo del mercato mondiale ed è opportuno ricordare, casomai ce ne fossimo dimenticati, che l’Unione Europea è nata e servita proprio a questo scopo, non per altri.
E alla chiarezza non è utile nemmeno il riferimento un poco troppo scontato e irrispettoso “ai padri dell’europeismo” i quali, vittime del regime fascista, si maceravano nel confino di Ustica, siamo nel 1941, ipotizzando un’Europa benevola, totalmente astratta dalle premesse e dalle finalità capitaliste e imperialiste che sarebbero poi state poste alla base della costituzione dell’Unione Europea.
Non è quindi il caso di attardarci in paragoni storici fuorvianti paventando scenari apocalittici per mascherare l’attuale corsa al riarmo condotta stato per stato.
Ci riferiamo a tutte quelle tendenze che individuano nel ritorno ai più autentici intenti dei “padri europeisti” o ai più integrali valori fondanti la costituzione, le chiavi buone per aprire tutte le porte sbarrate dalla crisi se non, addirittura, per rifondare una sinistra parlamentare ormai in crisi di identità e del tutto subalterna agli interessi del capitale.
Non si tratta di liquidare un patrimonio di libertà ma, più obiettivamente, di collocarlo all’interno dei contesti storici e di classe nei quali si è sviluppato, andando oltre al semplice e gratuito enunciato costituzionale, sempre ampiamente contraddetto dalle democrazie borghesi di tutto il mondo.
Alle migliori intenzioni delle borghesie diamo la precedenza agli obiettivi concreti per la difesa intransigente degli interessi della nostra classe; da questo punto di vista, le garanzie costituzionali non servono a garantire quei diritti che la stessa borghesia ha ampiamente e consapevolmente contraddetto, realizzando nel corso della sua storia un sistema sociale iniquo, basato sullo sfruttamento e sulla guerra (due guerre mondiali combattute in poco più di un quarto di secolo) anteponendo, sempre, le esigenze del profitto e della divisione di classe a quelle della liberazione dal bisogno, della libertà e dell’emancipazione delle classi subalterne.
Per cui, nel difendere i concetti di libertà, pace, uguaglianza e lavoro, noi non facciamo riferimento al dettato costituzionale ma alla storia della nostra classe.
Questi concetti, che la costituzione astrattamente rivendica e ripropone, sono stati difesi nel concreto dal proletariato mondiale e dalle sue organizzazioni politiche e di massa, proprio perché parte integrante della loro storia, e delle conquiste che hanno qualificato i suoi percorsi di emancipazione. Esse vengono meno proprio perché è crollato il tessuto sociale, culturale organizzativo e di classe che le sosteneva e che le aveva rese possibili, originando quelle spinte verso il progresso delle classi subalterne e il loro rafforzamento.
Questa Europa non può che essere combattuta perché è stata costituita per unificare l’ imperialismo europeo in un tentativo che per ora non è riuscito: ma è stata abilissima nell’agitare prima e nascondere poi, nelle soffitte della storia, i nobili intenti dei “padri europeisti”.
Con i suoi vaghi, ambigui e contraddittori enunciati la manifestazione del 15 di marzo è destinata a mascherare, malgrado i sentimenti di numerosi partecipanti, la corsa al riarmo dell’UE nell’esclusivo interesse delle borghesie e dei suoi stati, dell’industria militare, del capitale finanziario e del militarismo; i costi di queste drammatiche intenzioni ricadranno poi sulle condizioni di vita delle classi subalterne europee.
Ma a guisa di conclusione vogliamo infine sottolineare una coincidenza per noi significativa, del tutto omessa e che ci sta particolarmente a cuore: alla data della manifestazione del 15 di marzo seguirà poi la data del 18, laddove saranno trascorsi 154 anni da quando, nel 1871 le donne e gli uomini del proletariato di Parigi insorsero instaurando la loro comune, che nel suo luminoso e breve esempio prese il nome di “Comune di Parigi”.
Il proletariato di Parigi abolì l’esercito, la polizia, la burocrazia statale liquidando così lo stato. Le differenze salariali tra donne e uomini furono superate nell’ambito di una sostanziale parità tra lavoro manuale e intellettuale; l’istruzione e la cultura furono liberate dall’ingerenza della chiesa e divennero pubbliche, quali strumenti di emancipazione delle classi oppresse, i beni comuni furono gestiti nell’interesse collettivo. Fu edificato cioè un sistema economico e sociale certamente non perfetto in quanto ricco di contraddizioni, ma controllato dal basso dalle classi subalterne che, in una prospettiva autogestionaria, non attribuirono deleghe al capitale e alle sue istituzioni statali che vennero invece liquidate. La Comune di Parigi fu soppressa nel sangue da una borghesia che si era vista espropriata della sua egemonia economica e sociale: la repressione fu feroce proprio per lanciare un monito alle classi subalterne in lotta per la propria emancipazione.
Un secolo e mezzo è trascorso da quell’evento che ha indicato al proletariato mondiale la via per la propria emancipazione, in un percorso denso di vittorie ma anche di sanguinose sconfitte che indicano con grande chiarezza che “l’emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi”, senza deleghe al capitale, alla borghesia e alle sue istituzioni. Solo e soltanto questa può essere la strada, per quanto difficile e tortuosa, per un’Europa veramente solidale e federale, giusta e libera.
Per tutti questi motivi, indipendentemente dalle volontà di chi ha lanciato la proposta e delle conseguenti adesioni individuali e collettive, riteniamo la manifestazione del 15 marzo un evento pericoloso perché illusorio circa un’Europa bonaria da difendere, un’Europa che non esiste quando, invece, esiste un’Europa sempre più “fortezza”, che inasprisce le politiche contro i migranti e che si riarma per tentare di inserirsi nella feroce competizione imperialista.
Nello spirito della “Comune di Parigi” viva l’unità internazionale delle classi subalterne.
Alternativa Libertaria/FdCA