Quando mai nel corso della travagliata storia del conflitto tra le classi sociali un governo non ha espresso, in tutto o in parte, gli interessi della classe borghese? Se questa considerazione è vera, come crediamo che sia, è opportuno assumerla a riferimento, per evitare di ritenere che i governi e gli stati siano strumenti neutri, o perfino utilizzabili per costruire un auspicabile superamento del sistema capitalistico.
L’attuale governo è certamente in linea con le realizzazioni dei precedenti, dato che si è prodigato nel proseguire con maggior solerzia le loro scelte classiste. Con questo governo l’intento di privilegiare gli interessi del capitale, delle classi egemoni e delle mezze classi di riferimento è entrato in una fase assai più estensiva, complici la crisi, l’involvere della situazione internazionale e l’implodere dell’Unione Europea, che ha visto il governo Meloni totalmente succube dell’imperialismo USA.
Quest’ultimo è divenuto più aggressivo proprio perché declinante, imponendo agli alleati europei le sue condizioni, per altro non negoziabili, in materia di dazi, di approvvigionamento energetico, di garanzie di investimenti europei per contrastare la deindustrializzazione negli USA, di tutela fiscale per le imprese americane in Europa e, soprattutto, in materia di riarmo e di armamenti. Lo scopo è quello di indebolire ulteriormente l’Unione Europea impegnandola militarmente in una opposizione armata contro la Russia in Ucraina e nelle politiche di riarmo degli stati dell’Unione, scoraggiando anche ogni penetrazione della Cina in occidente attraverso “la via della seta”.
I costi di questa epocale ristrutturazione sono e saranno scaricati sulle lavoratrici, sui lavoratori e sulle classi sociali più deboli d’Europa, che vedono e vedranno diminuire verticalmente la loro qualità della vita.
La deriva autoritaria della democrazia borghese
In occidente lo scontro tra le potenze ha rilanciato le spese militari e non vi è giorno che non si paventi la guerra, con lo scopo evidente di crearne le premesse. In questo panorama si rafforza il militarismo in ogni ambito della società, a partire dalla scuola.
In un simile contesto l’attuale governo ha certamente rivelato la sua essenza classista, reazionaria e repressiva, con la grave deriva autoritaria impressa alla democrazia borghese. Le origini politiche di Giorgia Meloni, d’altra parte, risalgono alla formazione neofascista del Movimento Sociale Italiano, erede della Repubblica Sociale Italiana alleata dei nazisti e presente nel Parlamento della Repubblica fin dal 1948, origini queste peraltro condivise da una vasta schiera dei suoi ministri e sottosegretari.
Non deve quindi stupire il riemergere nella nostra società di ruoli e di comportamenti intolleranti, violenti e anche dichiaratamente fascisti, il che non implica necessariamente il riemergere del fenomeno fascista come ipotesi di governo. Credere di vedere il fascismo dietro ogni comportamento autoritario di questo governo o di quello di altri paesi vuol dire non comprendere la natura di classe della democrazia borghese. Se in altre fasi storiche la borghesia ha prodotto il fascismo dal proprio ventre molle (in Italia e in Germania il fascismo giunse infatti al potere attraverso le elezioni), in una fase di crisi come l’attuale essa non ha bisogno del partito fascista, poiché in innumerevoli paesi e circostanze ha ancora a disposizione gli strumenti costituzionali per avviare le torsioni autoritarie e repressive per le proprie finalità di profitto e di dominio, che in Italia caratterizzano indubbiamente il governo Meloni.
Il Decreto sicurezza (DL 11/04/2025, n. 48 convertito in legge 9/06/2025 n. 80) rappresenta perfettamente questa degenerazione autoritaria della democrazia borghese. Così è che si aumentano le spese militari portandole al 5% del PIL entro il 2035, secondo le imposizioni non negoziabili di USA e NATO accettate supinamente dall’UE nell’interesse dei produttori di armamenti, recuperando risorse con tagli allo stato sociale, colpendo specialmente istruzione e sanità, che hanno una proiezione immediata sulla qualità della vita delle classi subalterne. Così è che per scopi meramente elettorali si incoraggia l’evasione fiscale tramite i condoni e contemporaneamente si abbassano le aliquote per i redditi più alti. In questa prospettiva ogni comportamento di opposizione individuale o collettiva e ogni forma di dissenso vengono criminalizzati ed equiparati a questioni di ordine pubblico, e quindi duramente repressi.
Profitto borghese e diritti di carta
“Diritti scritti, nient’altro che scritti, sono beffe dei popoli mummificate in codice”. Con queste parole il nostro compagno anarchico messicano Guerrero Praxedis espresse oltre un secolo fa, nel fuoco della rivoluzione messicana, un concetto ancora oggi attualissimo: le costituzioni, anche quelle migliori del mondo, così come il diritto internazionale, rimangono solo enunciati cartacei di compromesso attuati proprio da quelle borghesie capaci di rinnegarle per difendere a oltranza i loro interessi economici e politici.
La borghesia è portata per sua natura a far prevalere i propri particolari interessi e nelle situazioni di crisi, laddove questi interessi sono posti in discussione da un conflitto tra potenze che tende sempre più verso un confronto armato globale, non vi è più spazio per la trattativa e il compromesso. In assenza di un significativo conflitto di classe in grado di arginare lo strapotere capitalistico, il diritto viene stracciato, ridotto all’impotenza e sostituito con la repressione.
Da ciò discende la necessità di una continua e capillare mobilitazione antifascista, antimilitarista e contro la guerra, che per essere incisiva deve necessariamente ed immediatamente saldarsi alla lotta per la difesa delle condizioni di vita delle lavoratrici e dei lavoratori, legando la difesa degli interessi immediati a quelli storici del proletariato in un’autentica prospettiva internazionalista.
In questa fase difficile e allarmante è necessario ed urgente comprendere quello che sta accadendo, al fine di raggiungere la consapevolezza che il superamento del sistema capitalistico e degli orrori che esso produce non è solo possibile ma opportuno e urgente. Si tratta però di evitare di perseguire forme di opposizione che, nel loro spontaneo manifestarsi, rischiano di ridursi all’autoreferenzialità e al propagandismo, così come può accadere nei movimenti di massa e di classe.
“Il fine è nulla, il movimento è tutto”
E’ certamente vero che i movimenti di massa sorgono spontaneamente da bisogni diffusi, concreti e immediati e che, come quello della pace, sono espressi da strati sociali eterogenei. Se l’obiettivo perseguito risulta svincolato dalla prospettiva di superamento della guerra come tendenza inevitabile del sistema capitalistico, però, i movimenti di massa rischiano di appiattirsi su una deriva maturata nel divenire storico della lotta tra le classi, vale a dire: “il fine è nulla, il movimento è tutto”. Le forze politiche e sindacali che ne sono state interpreti non sono state in grado di scalfire minimamente il capitalismo e l’imperialismo, ma si sono ridotte a sostenerne gli effetti, le finalità, le guerre e tutti i loro orrori.
Non si tratta di effettuare una critica alle attuali mobilitazioni contro la guerra e il genocidio in atto a Gaza da parte del governo e dell’esercito di Israele, alle quali dovremmo affiancare l’aggressione russa all’Ucraina e gli altri oltre cinquanta conflitti che insanguinano il pianeta. Ma è necessario assumere il dato di base che queste sono tutte guerre combattute per procura nell’ambito del conflitto tra le maggiori potenze imperialiste per il controllo del mercato mondiale. La costruzione di un forte movimento di massa è un passaggio essenziale e quindi non sottovalutabile per contrastare il dilagare delle guerre e gli interessi e gli assetti economici e politici che le producono e le sostengono. In questa prospettiva ogni contributo individuale e collettivo risulta utile per manifestare e ampliare lo sdegno e la protesta: dai digiuni, ai minuti di silenzio, ai presidi e alle manifestazioni, fino ai blocchi dei porti, agli scioperi generali contro la guerra e alla potente e inedita mobilitazione della Global Sumud Flottilla.
Un movimento di massa agisce sotto la spinta di forze individuali e collettive che certamente non si riducono al ruolo proprio di un’organizzazione politica, un’entità questa inevitabilmente di minoranza, ma che deve comunque assumere la capacità di individuare i limiti degli ambiti sociali nei quali articola la propria presenza attiva nella realtà del conflitto, evitando ogni pratica divisiva consistente nel sottovalutare gli obiettivi immediati e astenendosi dal comminare “lezioni di rivoluzione” a chi persegue posizioni diverse.
Riscopriamo l’internazionalismo e la solidarietà tra le classi oppresse di tutto il mondo
Coerentemente con le più luminose stagioni internazionaliste del movimento comunista anarchico fin dai suoi albori, ci siamo sempre schierati in concreto contro la guerra evitando le derive campiste che, ieri come oggi, spingono a schierarsi da una parte o dall’altra dei conflitti imperialisti. Un conto è infatti riconoscere il diritto alla resistenza all’invasione israeliana della striscia di Gaza, un altro è riconoscere politicamente o assumere come riferimento borghesie reazionarie che, come Hamas, utilizzano le popolazioni civili per i loro scopi classisti e di potere e sono pronte a reprimere sanguinosamente ogni istanza di liberazione.
Non esistono borghesie e imperialismi buoni (o “meno peggio”) con cui schierarsi. Questa è una falsa scelta che i comunisti anarchici, rivoluzionari internazionalisti, hanno sempre respinto e non hanno mai fatto. Non lo facemmo nel 1871 all’epoca della Comune di Parigi, dove il proletariato parigino insorse contro il governo borghese che fuggì di fronte alle armate prussiane che accerchiavano la capitale. Non lo facemmo nella prima guerra mondiale imperialista, quando pure alcune autorevoli figure dell’anarchismo internazionale si schierarono con l’imperialismo dell’Intesa uniformandosi alle socialdemocrazie che si schierarono con i rispettivi imperialismi. Non lo facemmo nella Russia della guerra civile del 1918–21, laddove il movimento insurrezionale del proletariato contadino e operaio d’Ucraina, capeggiato dal compagno anarchico Nestor Machno, sconfisse sul campo le armate bianche, consentendo all’armata rossa sconfitta di riorganizzarsi e vincere la guerra. Non lo facemmo nella Spagna della guerra e della rivoluzione del 1936–39, né in Italia durante la Resistenza, quando ci opponemmo alle tendenze borghesi e staliniane della guerra patriottica. E non lo facciamo oggi in Ucraina, in Palestina e in qualunque altra circostanza. Riproponiamo e continuiamo a fare nostra la luminosa indicazione degli internazionalisti tedeschi all’epoca della prima guerra mondiale:
“Per ciascuno il nemico principale è costituito dalla borghesia del proprio paese”.
L’internazionalismo, che deve unire le classi subalterne nella difesa dei loro interessi, non può essere continuamente enunciato, ma deve essere aggiornato rispetto alle caratteristiche della fase attuale e concretamente declinato in strategia, tattica operativa e prassi organizzativa. Per questo è necessario continuare l’opera di formazione di una vasta area militante comunista anarchica, capace di radicarsi nella classe per orientarla verso l’unità, la difesa delle proprie condizioni di vita e verso il perseguimento dei propri interessi storici di liberazione dal dominio capitalista.
Alternativa Libertaria/FdCA